Nell’ombra di un crepuscolo eterno, l’antico nemico, l’architetto di congiure celesti, si erge un’ultima volta, testimone del suo irreparabile tramonto. Un tempo colonna portante dei cieli, la sua statura imponente incuteva timore nei cuori degli immortali; ora, però, è ridotto a un simulacro di amarezza, un’eco lontana dei gloriosi fasti passati. La sua maestà, che un tempo splendeva luminosa come una stella guida nella notte oscura dell’universo, è ora un’ombra sfumata, un ricordo sbiadito intrappolato nella tela del tempo.

I suoi occhi, un tempo fari di ambizione e potere, ora scrutano il vuoto davanti a sé, testimoni muti di un esodo che ha eroso le fondamenta del suo dominio. Gli angeli, molti dei suoi più fieri alleati, hanno scelto di abbandonare il cammino della sua inspiegabile ribellione per intraprendere quello del perdono, lasciandolo solo con il suo regno di cenere. La sua è una solitudine profonda, un abisso senza eco, dove l’unico suono è il rimbombo sordo della sua disperazione.

La sconfitta dell’antico nemico non risiede nelle battaglie perse o nei regni caduti; la vera sconfitta giace nella resa dei cuori angelici ed umani che un tempo lo avevano seguito con fervore cieco. Il suo fallimento è totale, non perché ha perso contro un avversario in battaglia, ma perché ha perso la fiducia di coloro che aveva promesso di guidare verso una gloria mai vista. La loro scelta di abbandonarlo non è soltanto una rinuncia a una causa; è il rifiuto di un’ideologia, l’abbandono di un percorso marcato dalla vendetta più distruttiva e dall’odio più profondo.

Ora, mentre l’ultima luce della speranza si spegne nei suoi occhi, l’antico nemico si rende conto che il suo vero nemico non è mai stato l’opposizione celestiale o la divina giustizia; il suo vero nemico è stato sempre l’orgoglio, un orgoglio che lo ha portato a sfidare l’ordine cosmico, a dividere i cieli, a innescare una guerra che ha lasciato solo distruzione nel suo solco. La consapevolezza di questo fallimento è un veleno che gli corrode l’anima, lasciandolo a confrontarsi con l’infinità della sua solitudine.