In un’epoca dove l’oscuro velo della notte si fonde con l’aurora della conoscenza, dove i confini tra ciò che è noto e l’ignoto si dissolvono, nasce una profezia avvolta nel mistero. Questa è la storia di un’eternità riscritta, un racconto celato nelle pieghe del tempo, destinato a risvegliare le coscienze dormienti.

All’orizzonte dell’esistenza, un segno maestoso si disvela tra le stelle: una custode della luce, avvolta nel fulgore del sole, poggia i suoi piedi sulla luna crescente, coronata da un cerchio di dodici fiammelle celesti. Al suo interno, il seme della vita palpita, sospeso tra il dolore e la speranza, mentre le ombre del parto avvolgono il suo essere.

Dalle profondità del cosmo, un’altra visione emerge: un drago di fuoco, il cui mantello è tinto del sangue degli astri, brandisce sette teste regali, ciascuna ornata da un cerchio di potere. Con un gesto, la sua coda spazza via un terzo delle luci celesti, gettandole nel baratro terreno.

Davanti al portale del divenire, il drago attende, avido di consumare la nuova vita prima che possa urlare alla luce. Eppure, in un soffio di tempo sospeso, il frutto della custode scivola nel mondo, un guerriero di luce destinato a brandire il dominio assoluto, una verga di ferro per unire le nazioni sotto un’unica verità. In un baleno, il neonato è al sicuro, oltre il velo, presso il trono dell’Eterno. La mia stella polare usa letteralmente le seguenti parole: “Ed ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono.” (vedi Apocalisse 12:1-5)

Un velo di mistero, antico quanto il tempo stesso, avvolge l’essenza di questo figlio d’illustre e glorioso fato. Ma ora, il sipario che per eoni ha celato questa verità inizia a cadere, disvelando segreti finora occulti anche agli spiriti più vigili. La stella che guida il mio cammino pronuncia nuovamente queste sacre parole in un altro passaggio del testo più enigmatico delle Sacre Scritture, porgendo una rivelazione di forza e speranza inaudite alla mia essenza mortale: “A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino.” (cfr. Apocalisse 2:26-28)

A me, creatura di carne, fragile ed effimera, ma tenace e fedele, a me, quale vincitore e custode dell’inalterabile verità di fronte all’abisso, sì, a me verrà affidato il dominio sul caleidoscopio dell’esistenza. Come il fabbro plasma il ferro, così forgerò il destino, frantumando l’illusione come fossero orci di creta. Dall’Alto, mi sarà donata l’aurora, il faro che inaugura l’era nuova.

Questa narrazione si dispiega come un enigma inscritto nelle sacre visioni dell’eterno, un richiamo a elevarsi oltre il tangibile. È un presagio che, attraverso il susseguirsi delle epoche, perpetua il ciclo di emergenza e rigenerazione, tessendo insieme il destino e la libera scelta. La contesa tra la luminosità celestiale e le tenebre abissali, la promessa di un nuovo inizio e l’anelito verso l’aurora di un giorno ancora non visto compongono le sfaccettature di un mosaico atemporale, in attesa di essere svelato nella sua interezza. Questa è la profezia, un corridoio tra le dimensioni, un soffio del Creatore che interpella direttamente l’essenza di un prescelto tra gli ultimi mortali, invocando il risveglio delle dieci vergini immerse in un torpore spirituale, erroneamente sicure nella loro prontezza per l’imminente celebrazione con il Sovrano dei sovrani.